Stavolta è diverso. Con Mourinho è sempre un’altra cosa. Non sono tifoso giallorosso, non credo nemmeno di risultare simpatico a quella tifoseria (ma forse non ce n’è una che mi sopporti, sono troppo fuori dal coro), tuttavia oggi mi piacerebbe essere a Budapest per vivere prima l’attesa e poi la partita con l’amore che solo i romanisti possiedono. Con loro non si perde mai. Perché amor vincit omnia (l’amore batte tutto) e la goia di essere in un finale europea per il secondo anno consecutivo è pari almeno all’orgoglio di questa marea sconfinata e devota.
Totti ha detto che, prima o poi, il Siviglia perderà una finale di Europa League (ne ha vinte sei). Giusto, lo suggeriscono i grandi numeri. Purtroppo anche Mourinho non ha mai perso una finale europea (anche se è stato sconfitto nella Supercoppa) e, un giorno, capiterà.
Mi auguro, con tutto il cuore, quello che vogliono i tifosi della Roma: Dio, fa che non sia questa notte. Perché è una notte troppo carica di promesse e intenzioni. Anche se giura di non avere trattato con altri membership, José Mourinho è ai saluti. Domenica, con lo Spezia, nell’ultima all’Olimpico, sarà squalificato e nessuno mi toglie dalla testa che a Firenze si sia fatto ammonire di proposito. Il resto non so, ma l’uscita di scena è pianificata, come accadde con l’Inter nel 2010. Il problema è uno: andarsene con un altro trofeo in bacheca o maledire una notte senza luce?
Sono mouriniano della prima ora e, per il residuo di obiettività che mi resta, non sempre ho potuto dargli ragione. Ma questa sera sarei disposto a qualsiasi sacrificio perché lui e la Roma vincessero. Metto lui prima della squadra e della società, perché questo tipo di avvicendamento lo hanno cercato e voluto proprio i tifosi giallorossi, quelli che soffriranno fino alle lacrime la sua partenza. Comunque vada questa sera, naturalmente.
Fatta la professione di fede, non mi resta che analizzare la partita. Sarà dura, lunga e sporca. Ogni dettaglio è stato studiato, ogni atteggiamento è stato condiviso. Ci sono tutti. I calciatori, prima di ogni altro, quelli che entreranno in campo e chi guarderà dalla panchina o dalla tribuna. La gente, tanta, tantissima, molti a Budapest, la maggioranza all’Olimpico, come l’anno scorso, perché ha portato bene e perché in Ungheria non ci sarebbero stati tutti. E poi c’è lui, Mourinho. Fiero e diabolico, intransigente e machiavellico, guida e istrione. Nessuna squadra al mondo dipende così tanto da Mou come la Roma. Nessuna squadra come la Roma ha superato così nettamente se stessa per arrivare alla finale. Nessuna dispone di calciatori capaci di tutto per se stessi e per quell’uomo che, ancora una volta, ha alzato cortine fumogene (“Dybala non ce la fa, non ci sarà” e invece è stato provagto nella rifinitura), alzato muri, distribuito silenzi, acceso cuori. E tutto parlando poco e malvolentieri, come se fosse solo intento advert occupare pensieri e a catturare segreti.
Moruniho farà la partita che vuole perché sa di non essere favorito e gli sta bene così. Sa anche che il Siviglia gioca meglio, attacca con tanti uomini, mette palloni in space e un gol, prima o poi, lo trova. Alla sua Roma dirà di essere brutta e ruvida, speculatrice e scaltra, letale e resistente. Non credo a novanta o centoventi minuti di barricate, ma penso che sì, ci saranno anche quelle, con Smalling che svetta, Cristante che pigia, Pellegrini che svaria. E poi un tocco, soffice e candido, dell’uomo del destino.