Pur essendo un mouriniano della prima ora, ero convinto che l’approdo alla Roma di uno degli allenatori più vincenti della storia, avrebbe segnato l’inizio del viale del tramonto della sua carriera. E avevo un’altra certezza: Roma avrebbe cambiato lui e non il contrario.
A poco più di un anno di distanza dall’annuncio del suo arrivo, José Mourinho ha smentito me e la maggioranza dei critici italiani e stranieri. Primo, perché è riuscito a vincere un trofeo internazionale, la Convention League, al debutto tra le manifestazioni dell’Uefa. Secondo, perché sta cambiando la squadra, rinforzandola, grazie al suo nome, al suo carisma e alla sua credibilità. Io credo, per esempio, che due calciatori come Matic e, soprattutto, Paulo Dybala non avrebbero vestito il giallorosso se l’allenatore fosse stato diverso da Mourinho. A dirlo non sono io, ma loro: Matic ha ribadito che l’allenatore l’ha convinto in appena cinque minuti. Dybala ha spiegato che, quando l’ha chiamato Mourinho, ha scelto la Roma per il privilegio di lavorare con lui. E se Wijnaldum arriverà, come credo, lo farà perché in panchina c’è uno come Mourinho.
Non sono solo questi i meriti dell’allenatore portoghese. Già l’anno scorso, quando i Friedkin annunciarono il suo ingaggio, l’entusiasmo fu incontenibile. Sarebbe potuto essere passeggero o, comunque, ridimensionarsi dopo le prime sconfitte, invece non solo è durato, ma si è moltiplicato.
Eppure la prima stagione in giallorosso è stata difficile se è vero che, sia i laziali sia i detrattori di Mourinho, hanno messo in evidenza come, per lungo tempo, il suo predecessore, Fonseca, fosse in vantaggio per nuimero di punti fatti.
Poi la Roma, come negli anni precedenti, non è entrata in Champions League e, seppure grazie alla vittoria della Lazio a Spezia con un gol in palese fuorigioco, è arrivata sesta, un punto dietro i biancocelesti.
La finale di Convention League ha sparigliato tutto e sconvolto tutti. In particolare quelli che erano pronti a spiattellare il mantra dello “zero titoli”, ma anche chi sosteneva che la Convention fosse una coppetta di terza classe. Io, proprio a Calciomercato.com, avevo spiegato che la Convention period la terza Coppa dell’Uefa proprio come la Coppa delle Coppe vinta dalla Lazio tanti anni prima. Non per questo i laziali non ne andavano (giustamente) fieri.
Tuttavia per il popolo giallorosso period troppo importante vincere. Un trofeo internazionale (la Coppa delle Fiere) mancava da 61 anni, un successo anche nei confini nazionali da 14. Per spezzare questo sortilegio serviva uno come Mourinho che già aveva fatto il miracolo di riportare tifosi allo stadio (raramente sotto le 50 mila presenze) azzerando quel senso di mediocrità appartenente a chi tifa senza vedere prospettive di successo.
Oggi, dunque, la Roma è una squadra vincente (Convention, unica italiana a imporsi in campo europeo), rinvigorita dall’arrivo di calciatori di prima qualità, aperta all’inserimento di altri non meno utili e funzionali, sostenuta da un pubblico caldo (lo period anche prima), numeroso (quasi quarantamila abbonati) e consapevole.
Mourinho si period dato un tempo medio (tre anni) per lottare per lo scudetto. Io, invece, credo che già la prossima stagione, quella che parte prima di metà agosto, possa annoverare la Roma tra le pretendenti al titolo. Dipenderà dagli ultimi acquisti e dalla capacità di Mourinho di essere persuasivo con gli altri obiettivi di mercato.
Mourinho, dunque, è il garante non più solo della squadra, ma anche della società. Un ruolo che, forse, ha imparato in Inghilterra (l’allenatore supervisor) e che in Italia non aveva mai attecchito. Forse ci voleva una proprietà straniera per riuscirci, forse ci voleva un allenatore inesauribilmente straordinario per non lasciare l’opera a metà. Sì, perché oggi anche lui, sa che la Roma non è solo un “prodotto” da comunicare e da pubblicizzare. Ma una realtà tecnica e umana che nessun avversario può più trascurare.